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La filosofia in quarantadue favole

di Giuseppe Ceretti

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4 febbraio 2010

In principio era la meraviglia. E la meraviglia è figlia del dubbio, di chi ogni giorno ha il coraggio di dire "non so". Nell'odierna babele dove le parole hanno perso il loro significato e nessuno si chiede mai perché, dove l'invettiva ha preso il posto della riflessione, certe letture fanno bene alla mente e allo spirito.
Provate a chiedervi, per esempio, chi c'era all'inizio. Non c'era nessuno, ma siamo sicuri se nessuno lo può confermare? Oppure, in principio c'era uno di tutto. Poi quell'uno si chiese: ma chi sono io, come mi posso definire se non mi vedo? Ancora, provate a porre questi interrogativi, chiamiamoli primordiali, narrandoli in forma di favola. Scoprirete così il piacere del pensiero che non serve a nulla e perciò stesso il più nobile del pensieri perché privo, come insegna Aristotele,del legame di servitù.
E' un mondo pervaso dal continuo stupore quello che ci narra il filosofo Ermanno Bencivenga . Guardare all'uomo e alla natura che lo circonda, ai gesti e alle parole d'ogni giorno con occhi e mente sgombri da pregiudizi, ponendosi sempre una domanda appresso all'altra. Ecco ciò che fanno i bambini e gli adulti non fanno più, convinti di possedere la conoscenza, non sapendo che il sapere non è solo una sommatoria di dati, cifre, fatti, ma la continua ricerca del sapere stesso.
Che gioia quindi leggere del numero quattro che non volle più esser pari; dell'io che, stanco di chiamarsi io, si diede un nome; di Alice alla ricerca della pentola del sapere in cantina; di fiumi che corrono a ritroso o dell'acqua che ghiaccia al sole; della strana storia del signor nessuno; delle orme stanche di inseguire piedi presuntuosi.
Ma non sono solo i nostri piedi a essere presuntuosi. Lo siamo noi quando facciamo spallucce o deridiamo i percorsi nei mondi incantati. Quante volte ci siamo sorpresi a ripetere: "Discorsi da bambini". Non lo faremo più e leggeremo una delle tante favole di Bencivenga. Con il sorriso sulle labbra, ma con la certezza che nei felici dubbi esistenziali, nei perché ripetuti fino all'ossessione, nei "c'era una volta", fantasia e ragione stringono un'alleanza imperitura.
A noi con il vizio della lettura non resta che rileggere non una, ma mille volte la favola intitolata "Il libro".Dove si narra del libro che non voleva essere letto, pieno di parole sapienti e detti arguti. Triste, perché le sue parole erano incomprensibili e nessuno lo leggeva. Finchè un uomo, né sapiente né arguto, lo prese per mano e tra uno sbadiglio e l'altro cominciò a leggerlo. Accadde così … ma che scrivo? Le favole non si svelano, ma si vivono. Meglio farlo con Bencivenga, augurandoci che siano rimaste delle parole che hanno ancora qualcosa da dire.

La filosofia in quarantadue favole
di Ermanno Bencivenga
pagg. 93
Saggi Oscar Mondadori

4 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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